Il re dei re, vol. 3 (di 4)
peine le
à jamais empl
te-B
porta immetteva sur un vasto spianato, che dava sul principio del burrone, in un angolo del quale, quello che guardava il Vico di Canossa e le rampe, elevavasi il vasto edifizio. Al castello atteneva un piccolo cenobio con sei celle per sei frati benedettini, di cui capo era il Donizone che le serviva un po' di tutto. Tra il cenobietto ed il castello eravi un cortile con impluvio, un orto, poi le cucine. Si entrava nel castello per un vestibolo. All'angolo mattina del castello torreggiava sul burrone un'immensa rocca quadrata, e quivi si trovavano le prigioni e la cappelletta, dedicata a S. Apollonio, a cui scendevasi per qualche gradino. Ornavano la cappella colonne di marmo rosso che ne sostenevano la volta. Le mura, ossia le rampe, erano guarnite di m
api nelle lutte cogl'imperatori di Lamagna. Matilde aveva deposto il primo pensiero. Ma più che
polto nell'anima l'orgoglio del fasto e del potere, ch'è quanto mai femmina possa ambire e desiderare. Ella aveva concentrato il suo spirito sull'elevato pensiero della vita futura e del destino dell'anima oltre la tomba. Le sue facoltà intellettuali avevano perciò acquistata una visione indeterminata; le sue idee un colorito vago e fantastico. Ma nel tempo stesso, con l'ostinato meditare sopra oggetti ascetici, aveva assunto un rigore di principii, una solidità di carattere che nulla valeva a riscuotere, e che le davano quella specie di cieco coraggio che nulla cura, nulla bada. Si era devoluta come schiava all'arbitrio dei pontefici. E questi, non è a dirsi,
ussiego severo; e perciò appunto più duro e feroce carattere. Non dividevano le grazie della contessa che due individui. Una vecchia dama, alquanto sorda, alquanto losca, alquanto zoppa, del resto, nel cuore soda come macigno e capace di starnutire un buon migliaio di paternostri al dì; e Donizone, stravagante ed ubbriaco frate, che nell'ebrietà scriveva la vita di lei in versi esametri latini, e nei momenti di lucidi intervalli si tagliava le mani al torno. E quella le prestava i pochi uffizii di damigella che le potessero occorrere; questi le diceva la messa tutte le mattine, le benediceva la mensa, le faceva l'esposizione del sacram
La testa coperta da berretto a foggia di capperuccio, il corpo di una tonica di grosso drappo verde, corta fino al ginocchio ed azzeccata al fianco da cinto di cuoio, le brache str
dalla bocca. Enrico salì a piedi l'erta della rocca. Lo accompagnavano Baccelardo, Guiberto, il vescovo di Vercelli, quel di Bovino, e parecchi signori, venuti appositamente di Piacenza, udito della prossima riconciliazione, ed attendati per su le circostanti al
erciò che papa Gregorio abbia voluto darmi una parte a sostenere nelle disgrazie che vi hanno colpito. E duolmente maggiormente adesso ch
dato di dirci, messer abate
dali, del berretto e del mantello, i piedi e la testa nuda sotto l'aperta volta del cielo, pel tempo perv
tieramente dimenticato che noi siamo re, unto come lui, ed inviolabile della perso
ielo, e trionferete dei vostri nemici. Che vi giova ribellarvi adesso, che vi sta nel pugno la vittoria, e che siete alla vigilia di mostrarvi ai popoli vostri più grande e più forte? Un segno più o meno di umiltà non vi sconfort
tte ad udire,
rbirci questo cali
aveste udito il mio consiglio, non vi sareste messo con sì nobile e generosa fiducia all'arbitrio dell'impudente pontefice. Ma poichè l
a un sospir
o? Farò così: ma giuro alla B
Non sappia la luce del dì ciò che passa nel fondo della vostra cos
se, e gittando un sospir
ovo di Ravenna: da voi ho
, il quale recava la novella a Gregorio, e si rinchiuse di nuovo sul volto del re. I frati del cenobio, i prelati rinchiusi nel castello, salmeggiavano dietro i merli della rampa. Enrico restò lungamente, degli occhi accollati a quella porta, immobile, assorbito in una nuvola di nere idee, c
ione immobile, e conciossiachè passeggiasse sull
nrico era digiuno. La neve, il vento gli percotevano il viso. Non udiva voce fuori di quella lugubre salmodia e di quella della natura crucciata. Ma egli non sentiva più fame, non sentiva più freddo, dell'ira dell'uragano non temeva; perocchè uno, ancora più terribile e fosco, imperversava nel suo cuore.
uella porta vada a terra, e vi do parola di
Enrico furibon
e la postierla principiava a sgangherarsi e ben presto gli avrebbe aperto il varco, se no
rio v'intimo desistere dall'opera pazza, e di allontanarvi, se non
sta ad udire il parlamentari
utti agite da poltroni malcreati. La mia risposta intanto è questa; e c
rava indietro. Egli allora tolse la balestra di mano ad un soldato per rimandargli il saluto; ma Baccelardo era scompar
e cibo che pochissimo
confusa e peritosa andò a fargli visita per confortarlo, lo supplicarono di non si disperare così tosto, e correre alla violenza, ma facesse tentativo, quel giorno ancora, perchè forse Gregorio, soddisfatto di sua umiltà e convinto
casse la sua presenza, e facendo cenno ai suoi di restarsi, si fe' cavare i borzacchini ed il ma
i. Questa volta però le ore passarono più sollecite. Egli restò più tranquillo. Imperciocchè cominciò a correre con la mente l'avvenire, e vagheggiare un piano di vende
ra; prolunghia
Io compirò il rimanente. Dimani poi, cavalcheremo alla volta di Piacenza, se uopo è, e Iddio decider
io convulso, a gioia feroce, infame certo; e perciò appunto prolunghiamone
esta del re, e che la febbre ed il delirio lo travagliavano. Lo condusse perciò fuori le mura, ed a
tava a Gregorio come parlamentario,
dir ciò? dimandava Gregorio
spose l'altro, che tu non
tefice levandosi da sed
non aspettavi la mia visita, fratello; ma io, che ho miglior cuore del tuo,
rando ritraendosi, qual novello d
ticava in ogni cosa il male e non si piegava nè per consigli, nè per forza. Ed a dire che neppure nel volto sei mutato! Io invece...
passo o va via, grida Gregorio turbato, sbalordito, non sa
ante frate che ha barattata la cocolla per la tiara, e del figliuolo di Bonizone come me, arcivescovo di Ravenna eccetera. Inoltre egli è necessario che io ti favell
vederti, mormora Gregorio, cadendo sul suo segg
nsare a queste umane debolezze, e ad un pontefice covare sdegni sì lunghi. D'altronde tu mi provocasti così villanamente, e ne ho fatta di poi una penitenza che non saprei dirti. Lasciamo s
ldebrando interrompendolo e rizzand
ngere le donne pie per la tenerezza, e le buone comari che griderebbero al miracolo. Via, piegati dunque fratello, pensa, corpo del diavolo, che hai sessantaquattro anni sonati, e sei prossimo ad andare innanzi a monsignore Iddio, che con voce terribile ti dimanderà, come a Caino: cosa hai tu fatto del tuo fratello
farsi a brani, la ragione disquilibrarsi. Chi è dunque che ha permesso a questo rettile di avvicinarsi fino a me? Perchè Iddio
alla fine. E poi io ti perdono; e poi io non ti domando neppur conto di mia moglie, di mia moglie che tu hai vituperata, di Alberada che io ho amato col più robusto delirio che possa agitare il cuore di un giovane. E tu me l'hai tolta
uo contatto, il tuo respiro stesso avvel
ai più Ildebrando e Guiberto, ma l'arcivescovo di Ravenna e Gregorio, ma i nemici che si han giurata guerra mortale e che non si perdoneranno mai, neppure con la ce
oltraggiata l'opera delle sue mani; tu hai vilipeso il suo vicario. E se vero è che vada ligato nei cieli ciò che io ligo sulla t
ostri cavalli. Io ti darò la caccia quasi belva feroce. Io calcherò le tue peste; insozzerò il tuo abitacolo; turberò i tuoi sonni fuggenti, i tuoi desinari frugali. Non ti darò tregua neppure di supplicare Iddio che ti tolga da codesta carriera di spine. Inoltre mi farò creare papa ancor io; e tu sarai incolpato da Dio e dagli uomini dello scisma. Le città ti cacceranno dalle loro mura come perturbatore della pubblica pace, e nella tua coscienza non potrai restar tranquillo, perchè come un flagello, come Attila, sei venuto a gittare la guerra e la discordia nell'universo. Io insomma, io sarò la pietra angolare per rovesciare i giganteschi tuoi pr
ra di codesta
do, e niuno meglio della
erverso, i progetti tuoi quelli dell'empio. Mi hai messa innanzi lo sguardo una tela di delitti a commetter
Dio, perchè, per le sante ossa di tutti i martiri, se minimamente di alcuna cosa mi avvedo, ti promet
sto li disprezza. Ma insomma finiam
ora io mi contenterò di aver restituita Alberada e di essere arcivescovo; egli di andare a dimandar ragione ai suoi vassalli della fellonia; e tu tornerai a Roma a dispotizzare sicuro. Ma se ti ostini, prepárati allora a guerra terr
ue di spaventa
o mi faccia violenza, io non so dimenticare che siamo entrambi figli di Bonizone. Arrenditi dunque e perdona Enrico. Non tirarlo dai ca
à perdonato, perchè Iddio non vuole
arà perdonat
o, per tentare di scandagliarne il pensiero? I suoi d
a è prossimo a scorrere,
plorare perdono di sue peccata. Enrico è re? ma che sono i re avanti a Dio ed avanti a me c
mirarlo radiante di luce inspirata. Tu hai prese sul serio tutte codeste storie, e finirai per dio per farle t?rre sul serio anche altru
opoli e l'universo sfumano come i sogni del demente. Ed io sono voce
perciò a
sarò convinto del suo pentimento, e che non cov
d
e perseguiterei S. Pietro, se vedessi che ti potesse proteggere; perseguiterei la Vergine; perseguiterei Cristo; perseguiterei Dio. Tu e codesto vigliacco di re menaste vampo e mi scherniste, quando ad arcivescovo di Ravenna ti elevasti; per darmi rovello me lo gittasti sul volto con una lettera infame; per isfidarmi a guerra mortale,
nque, e ricadano sul tuo capo le miserie che stanno per contristare l'Europa. Noi no
a testa alta, il passo fermo, calmo,
rdè di vista, poi piegò il capo e
furbo o un for